Le 1.100 testimonianze confermano: in 950 hanno avuto problemi tra tempi infiniti, agende chiuse e ricoveri in sospeso.
l Servizio sanitario nazionale è in crisi: lo hanno da poco denunciato anche 14 tra i più importanti scienziati italiani, guidati dal premio Nobel
Giorgio Parisi, con un appello alle istituzioni: “Non possiamo fare a meno del Ssn e, per salvarlo, è necessario un piano straordinario di finanziamento”. I cittadini, questa crisi, la vivono ogni giorno sulla loro pelle, attendendo mesi per una visita, un esame o un ricovero, o sentendosi dire che “le agende di prenotazione sono chiuse”: tutto a scapito della loro salute e anche del loro portafoglio, perché nella maggioranza dei casi la soluzione è il privato. È questo il quadro sconfortante confermato dalla nostra indagine, in cui abbiamo chiesto a 1.100 ACmakers, la community che collabora alle nostre ricerche, se hanno avuto difficoltà nell’ultimo anno nel prenotare visite ed esami con il Ssn: in 950, quasi tutti in pratica, ci hanno risposto di sì e ci hanno poi raccontato il loro calvario. Un calvario a cui abbiamo deciso di
dare supporto: i tempi massimi indicati sulla ricetta dal medico di base (le “classi di priorità”), vanno rispettati per legge; le agende di prenotazione chiuse sono vietate; i controlli devono essere prenotati, nei tempi giusti, direttamente dalla struttura nella quale si è in cura;
sui tempi dei ricoveri programmati le norme prevedono che vengano date ai pazienti tempistiche chiare e congrue. E il modo per far valere questi diritti c’è: bisogna scrivere agli enti giusti, che sono tenuti a garantirne il rispetto offrendo prestazioni nei tempi indicati sulla ricetta, anche tramite una visita privata in una struttura pubblica (intramoenia) o privata convenzionata (il paziente dovrà pagare comunque solo il ticket).
Visite ed esami “difficili”
Gran parte dei problemi emersi dall’indagine ci sono stati, più che con gli esami, con le visite specialistiche (per due terzi delle 950 segnalazioni ricevute): soprattutto oculistiche (circa 180 segnalazioni) e dermatologiche (circa 100, per lo più riguardanti il controllo dei nei). Tra gli esami più problematici abbiamo ecografie (circa 150) – soprattutto di addome, tiroide, mammella e spalla – risonanze magnetiche e Tac (circa 100), gastroscopie (circa 25). Dati che non sorprendono: visite oculistiche e dermatologiche, gastroscopie ed ecografie dell’addome sono da sempre le prestazioni che, alla fine, i cittadini pagano di più di tasca propria, prenotando nel privato (dati Agenas, Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali).
Attese e agende chiuse
Rispetto alla stessa rilevazione di un anno fa con gli ACmakers (pubblicata su Insalute 163), non è cambiato nulla: i problemi sono sempre tanti e sempre gli stessi. E ai nostri intervistati è successo anche che tutte queste difficoltà si siano sommate fra loro, trasformando la ricerca di un appuntamento in un’odissea. Il problema delle attese eccessive riguarda la stragrande maggioranza delle persone (663); impossibile per tanti (117) fare visite ed esami nei tempi, anche quando c’è un’urgenza indicata sulla ricetta: «Avevo una ricetta per una Tac da fare entro 10 giorni – ci racconta uno degli ACmakers – il primo posto disponibile che ho potuto prenotare era dopo più di due mesi». Ed è solo una delle tante testimonianze ricevute su questo. Colpisce, inoltre, che circa un quarto di queste segnalazioni, riguardi l’impossibilità di prenotare una visita o un esame per via delle agende chiuse: una pratica che, come dicevamo, è vietata. Eppure, sono stati tanti i cittadini che si sono trovati di fronte a questo: «Ho dovuto telefonare più volte per fissare l’esame del campo visivo – scrive un intervistato – inizialmente l’agenda era chiusa poi, una volta aperta, si prospettavano tempi superiori agli otto mesi».
Le distanze eccessive «Per la visita oculistica mi propongono un’Asl distante 200 km dalla mia abitazione o, in alternativa, a nove mesi dalla
prenotazione». Come in questo caso, in molti ci hanno segnalato il problema delle distanze eccessive delle strutture proposte: circa un quarto delle persone che hanno avuto problemi ci ha raccontato che, per avere tempi accettabili, avrebbero dovuto andare in strutture sanitarie anche a centinaia di chilometri di distanza.
Un’opzione lecita, purtroppo, ma che può rappresentare un forte ostacolo alle cure (vedi le informazioni nel riquadro “Cosa sapere e cosa fare?”).
Dal privato in primis
Metà degli ACmakers che ci ha segnalato problemi (429 su 950) alla fine, di fronte a tutti questi ostacoli, si è rivolta alla sanità privata: una spesa, quella per tenersi in salute, che sta diventando sempre più insostenibile per le famiglie italiane. Che il sistema ci spinga in modo ineluttabile verso il privato è un sentimento che provano in tanti, soprattutto di fronte a situazioni come queste: «Dovevo fare una Tac al collo a causa di un incidente.
Avevo una prescrizione entro massimo 10 giorni, ma non è stato possibile trovare un appuntamento.
A pagamento, invece, avrei potuto farla il giorno dopo pagando circa 400 euro».
In teoria le regole prevedono che le ore dell’intramoenia (attività privata nelle strutture pubbliche) non superino quelle dell’attività pubblica e che non comportino un incremento delle liste d’attesa: un equilibrio solo apparente, però, che nei fatti si traduce in tempi immediati per chi paga e attese snervanti per gli altri.
Proprio lo scorso febbraio Agenas ha pubblicato l’ultimo rapporto di monitoraggio sulle prestazioni in intramoenia (riferito al 2022): il 56% delle prestazioni viene erogato entro 10 giorni; mentre solo per un 14% si deve andare oltre i 30 giorni per le visite e i 60 per gli esami (quando questo, per il servizio pubblico – nel quale il personale lo stesso – è invece la norma).
Poi, oltre alle strutture pubbliche che lavorano in intramoenia, ci sono le strutture private pure, che sono diventate ormai anche un valido
competitore del Ssn, grazie a tariffe contenute e tempi ottimali, per visite ed esami.
Il privato, però, non può essere la soluzione alle infinite liste d’attesa: intanto implica una spesa da parte dei cittadini che si dovrebbe poter evitare; la salute è un diritto costituzionale e tutti noi già contribuiamo con le nostre tasse al Servizio sanitario nazionale. In secondo luogo perché – quando le cure diventano più onerose – le persone comunque dovranno “rientrare” nel percorso pubblico (per eventuali ricoveri, operazioni, ecc.), dovendo ripetere molti, se non tutti, gli accertamenti già fatti.
Altre “soluzioni”
Il privato non è l’unica “soluzione”, un decimo delle persone (89) alla fine, esasperato, non ha approfondito il suo problema e ha rinunciato a curarsi: il peggio che possa accadere. Gli altri hanno atteso anche mesi e mesi o stanno ancora aspettando pazientemente di capire che problema hanno o, infine, hanno accettato di andare nella prima struttura disponibile, anche se molto scomoda.
Ricoveri spesso in ritardo
Dei 1.100 intervistati, in circa 300 sono stati inseriti in lista d’attesa per un ricovero negli ultimi due anni. Solo poco più della metà, però, è stata ricoverata nei tempi previsti (anche i ricoveri programmati hanno classi di priorità infatti); circa 100, invece, non sono stati così fortunati e non hanno visto il rispetto dei tempi. In circa 50 ancora non sanno neanche quando verranno chiamati dall’ospedale.