Cara salute: quanto mi costi? Un italiano su tre costretto a pagare visite e analisi

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Più di un italiano su tre quando deve fare una visita oppure un esame diagnostico si rivolge al sistema privato. Quindi paga di tasca propria la prestazione. La grande crisi del sistema sanitario pubblico, sulla cui importanza ha insistito il presidente Mattarella, sta tutta qui, nello scivolamento verso il mondo del privato, che un tempo era residuale e ora è centrale per l’assistenza. Il dato è di Agenas, l’Agenzia sanitaria delle Regioni, che ha calcolato come il 35% di coloro che hanno bisogno di farsi vedere da uno specialista o di fare accertamenti non passano attraverso strutture pubbliche o convenzionate (quindi sempre gratuitamente o al costo del ticket), ma vanno fuori, si rivolgono all’ampia offerta di centri privati, oppure all’intramoenia, cioè alla libera professione dei dipendenti del servizio sanitario nazionale.

 

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La piaga insoluta delle liste d’attesa

Cosa spinge i cittadini a rivolgersi al privato? La risposta tira in ballo uno degli enormi problemi della sanità italiana di questi anni: le liste di attesa. La legge dice che le prescrizioni possono avere diverse classi di priorità: U (urgente), che indica una prestazione da fare prima possibile e comunque entro 72 ore; la B (breve), che dà un limite massimo di 10 giorni; la D (differibile) che prevede 30 giorni massimi per le visite e 60 per gli esami; e la P (programmata), per prestazioni da fare entro 120 giorni. La crisi riguarda la classe D, che è la più diffusa. In tutte le Regioni, anche al Centronord, può capitare di sentirsi dire che per la gastroscopia bisogna aspettare un anno e che per la risonanza non si riesce a fissare un appuntamento perché le agende sono piene. Così il privato diventa una necessità per chi vuole risposte in tempi accettabili.

L’offerta in discesa e troppi esami inutili

Le liste di attesa nascono da due fattori. Il primo è l’offerta pubblica più bassa rispetto alla domanda, il secondo l’inappropriatezza e cioè la richiesta di prestazioni che non servono. Sull’ultimo punto, da tempo si promettono riforme per evitare prescrizioni di visite ed esami inutili. Riguardo all’offerta, è lampante, sempre osservando i dati Agenas, la sua inadeguatezza. Il pubblico non riesce a lavorare agli stessi ritmi degli anni prima del Covid. Nel 2019 si facevano 228 milioni di visite ed esami (scesi poi a 163 e 194 milioni nel 2020 e 2021). L’anno scorso ci si è fermati a 205 milioni, cioè l’11% in meno. Ma bisogna considerare che la domanda nel frattempo è aumentata, anche perché devono essere recuperate prestazioni non fatte durante la pandemia. Ma se il fondo sanitario non viene rimpinguato non è possibile aumentare l’offerta.

Lavoratori in fuga verso paghe più alte

La fuga verso il sistema privato non riguarda solo i cittadini. Uno dei grandi temi legati al sottofinanziamento del sistema sanitario ha a che fare con i lavoratori. Ci vorrebbero stipendi più alti per medici e infermieri, lo ha detto anche il ministro alla Salute, Orazio Schillaci. Finché la paga resta la stessa, circa tremila al mese per un camice bianco ospedaliero, ci saranno trasferimenti nel privato. Secondo i sindacati ogni anno duemila medici lasciano il Sistema sanitario nazionale per andare in strutture private, dove magari guadagnano il doppio, oppure a fare i liberi professionisti. In questo caso, capita che rientrano negli ospedali per fare i turnisti al pronto soccorso, oppure aprono un loro studio. A quel punto è impossibile stimare quanto guadagnino, comunque molto di più di un assunto in ospedale.

La spesa privata cresciuta di sette miliardi 

Si chiama spesa sanitaria “out of pocket” ed è quella che le famiglie sostengono appunto di tasca propria. Il valore di questo esborso privato è cresciuto negli anni, di pari passo con il venir meno della risposta del servizio pubblico. I cittadini si sono in parte sostituiti allo Stato. Secondo l’Istat, la spesa diretta delle famiglie nel 2012 era di 34,4 miliardi di euro. E nel 2022 è arrivata a quota 41,5 miliardi. La crescita, quindi, è stata in 11 anni di oltre il 20%, pari a 7 miliardi di euro in più. Oltre 20 miliardi vengono spesi per visite specialistiche, servizi dentistici, servizi di diagnostica e per servizi paramedici (cioè infermieri, psicologi, fisioterapisti, eccetera). Altri 15 sono serviti a comprare farmaci, apparecchiature medicali e altro. Quasi 6 miliardi sono stati spesi per i ricoveri ospedalieri e in strutture di assistenza a lungo termine.

Tratto da “La Repubblica” del 3 ott 2023

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